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Alba Rohrwacher Ingrassata - Celebrita Blog

Alba Rohrwacher Ingrassata

Spargi l'amore
Alba Rohrwacher Ingrassata
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Alba Rohrwacher Ingrassata – Dovresti interrogare i ventenni sulla loro opinione su Alba Rohrwacher. La gente andrà in estasi per il suo approccio innovativo all’uso produttivo del proprio corpo. Rendendolo flessibile in modo che possa assumere le espressioni di un volto umano. Dicono che i suoi lineamenti siano così squisiti che potrebbero essere scolpiti nell’alabastro. Infine, ha una voce unica.

Questa è la voce, di sicuro. È difficile immaginare come Alba Rohrwacher tenga il passo con il suo frenetico programma di lavoro, vista la frequenza e l’insistenza con cui viene chiamata dai suoi direttori. Eppure, trova ancora il tempo per registrare audiolibri, una forma di completamento della narrativa che, sebbene in espansione, rimane un piacere di nicchia.

Alba Rhorwacher non è l’unica eccezionale attrice italiana che si presta a questa carriera parallela; ha registrato diversi audiolibri con Emons prima di Divorare il cielo di Paolo Giordano. Innumerevoli altri, come Stefano Accorsi, Toni Servillo, Claudio Santamaria e Carolina Crescentini, hanno seguito le sue orme. A quel punto la voce smette di riferirsi a se stessa.

Ci chiama da un altro set e dice: “È bello farlo”, aggiungendo, “oltre alla gioia di leggere un buon libro ad alta voce, è anche l’occasione per vedere gli amici della casa editrice Emons con cui ho costruito un rapporto praticamente familiare.” Cosa prova lei, che ha una voce molto bella, quando ascolta la sua voce registrata, che la maggior parte delle persone trova sgradevole?

Non mi piace nemmeno vedere i film in cui appaio, quindi non è che gli piaccia ascoltarmi di nuovo. In ogni caso, noi performer con i nostri “strumenti” dobbiamo imparare a conviverci. Esattamente come uno strumento, ho dovuto allenarmi a pensare la mia voce in questo modo. Leggendo il libro a più voci di Paolo Giordano, è stato divertente sperimentare con la mia voce per sembrare più mascolina o più anziana.

Dall’esterno, il Festival del cinema di Venezia 2020 si sta svolgendo esattamente come negli anni passati, con anteprime di nuovi film e sfilate di celebrità sul tappeto rosso. Questa è l’impressione che gli organizzatori di questa edizione sperano di trasmettere al pubblico; l’evento è stato pianificato maggiormente pensando alle persone che non potevano partecipare. Volevano dimostrare che gli eventi su larga scala potevano svolgersi in sicurezza e che i cinema erano pronti a riaprire.

Il direttore artistico di Cannes, Thierry Fremaux, ha messo una sorta di “marchio di qualità” su tutti i film che ha selezionato per l’edizione dello scorso maggio del suo festival, cosa che alla fine non è avvenuta a causa dell’epidemia, e questo dovrebbe essere sufficiente per dimostrare che era tutta una facciata e una farsa di solidarietà. È ovvio che partecipare a un festival cinematografico è come correre il rischio che succeda qualcosa di brutto.

Un evento unico, frutto di una collaborazione una tantum tra Cannes e Venezia, che mette in mostra il meglio del cinema creato in questo anno sfortunato avrebbe potuto essere pianificato se le circostanze fossero state diverse. Di conseguenza, si ottiene un effetto apparentemente contraddittorio: gli spettatori a casa sono al corrente di passerelle che prima erano vietate ai visitatori del Lido.

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Poi, invece di assomigliare ai due storici rivali Coppi e Bartali nella celebre foto della borraccia dove non si capisce chi aiuti chi, sarebbe stata chiara la lealtà e il vantaggio per entrambe le parti: Cannes avrebbe trovato una vetrina di lusso in cui di presentare i “suoi” film, e Venezia avrebbe potuto offrire una programmazione di qualità superiore rispetto alla scarsa rassegna di quest’anno.

Solo Thierry Fremaux avrebbe potuto fare una mossa del genere, mentre Alberto Barbera è del tutto innocente in questa vicenda. Il muro di sbarramento allestito davanti al tappeto rosso per tenere lontani i cacciatori di autografi che notoriamente si erano accampati la sera prima per accaparrarsi i posti migliori è un simbolo degli sforzi del festival per presentare questa immagine al pubblico, anche come concetto.

Chi si è presentato di persona, invece, è soggetto a tutti gli altri disagi derivanti dai nuovi protocolli di sicurezza: prenotazione obbligatoria per ogni film, con rigida assegnazione del posto; divieto di ingresso in sala di proiezione scattato anche da pochi secondi; mascherina obbligatoria non solo all’ingresso in sala ma anche durante la visione, con grande fastidio di chi porta gli occhiali, che continuano ad appannarsi.

Prendere ogni possibile misura di sicurezza è fondamentale, ma è anche importante tenere a mente che la teoria di Blaise Pascal secondo cui i problemi del mondo derivano dal fatto che le persone non stanno a casa dovrebbe essere considerata. Basti pensare che circa la metà dei contagiati non presenta alcun sintomo, nonostante la febbre venga misurata ai cancelli d’ingresso della “cittadella” cinematografica, con accesso precluso a chiunque superi i 37,5°.

A causa del fatto che la spiaggia sottostante può diffondere malattie, l’Hotel Excelsior rileva la temperatura dei suoi ospiti non solo al momento del check-in, ma anche al momento del check-out. Quelli con la febbre che stanno per partire sono apparentemente messi in quarantena all’interno fino a quando non possono ottenere un tampone, e potrebbero anche non uscire finché non sono stati trattati con il trattamento a cinque stelle.

Insomma, la Mostra del cinema di Venezia di quest’anno comporta rischi evidenti, che i devoti irriducibili sopporteranno con un fatalismo che si addice alla poesia di Van Eyck “Il giardiniere e la morte”. Il problema principale è che non vedi così tante persone come al solito, nonostante tutti i problemi menzionati in precedenza, e il programma non è esattamente abbagliante in questo momento.

Secondo i dati appena rivelati dalla Biennale, il numero degli accrediti si è dimezzato, passando dai circa 12.000 degli ultimi anni ai 6.000 del 2020, ad eccezione dei giornalisti, obbligati per motivi professionali, il cui numero è precipitato da 3.000 a 2.000. Tuttavia, non presteremmo giuramentoproprio su quest’ultima questione.

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