Pierluca Muntoni

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Pierluca Muntoni – Donatella Bianchi è una figura familiare della televisione italiana da quando ha assunto l’incarico di conduttrice per Linea Blu nel 1999. Donatella Bianchi, che è diventata a capo del World Wildlife Fund nel 2014, ha da tempo mostrato un vivo interesse per le questioni ambientali. È stata reclutata dal governo Conte dopo il primo lockdown per far parte della celebre task force Colao, incaricata di ideare una strategia per la ripresa economica del Paese dopo l’epidemia.

Il compleanno di Donatella Bianchi era il 1 ottobre 1963, compiendo i suoi 57 anni. Ha avuto la sua primogenita, Federica, con il marito e collaboratore Osvaldo Bevilacqua. Pierluca Muntoni è il suo secondo figlio dal matrimonio con il giornalista Bevilacqua e nel 2012 ha stretto un nuovo matrimonio con il padre di Pierluca, l’imprenditore Tommaso Muntoni. Donatella Bianchi è alta 1,69 me pesa circa 53 kg. Donatella Bianchi ha lavorato come giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva e, come indicato in precedenza, è stata presidente del:

World Wildlife Fund WWF dal 2014. La sua carriera televisiva è iniziata in un’età sorprendentemente giovane; a soli quindici anni, Corrado ha visto la sua attitudine e l’ha scritturata nel suo spettacolo Domenica In. Si interessa presto di giornalismo e in particolare di scienze naturali e ambientali fino a diventare inviata speciale del programma di Rai Due degli anni ’80 Serena Variabile. Successivamente entra a far parte della redazione del Tgr Lazio e sperimenta la conduzione di programmi radiofonici come Senti la montagna e Quando i mondi si incontrano.

Dopo vent’anni alla guida del programma, presenta Linea Blu nel 1999, con lei come protagonista costante nonostante una porta girevole di co-conduttori. Come è stato indicato in precedenza, al di fuori del regno della televisione, è impegnata in alcune significative lotte ambientali; questi l’hanno spinta non solo a diventare capo del World Wildlife Fund WWF ma anche a scrivere libri come The Legacy of the Sea, che sarà pubblicato nel 2020 da Rai Books.

Si è esitato a parlare di mafe nella nostra regione quando l’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio ha iniziato a lavorare al primo Rapporto nell’estate del 2014. Anche se esiste una prova giudiziaria storica e rintracciabile che indichi il mafe originario del Lazio e della capitale del paese, Roma, molti all’epoca pensarono che fosse troppo audace o fantasioso suggerire che la mafia si fosse stabilita lì. Anche l’accresciuta attività investigativa negli ultimi anni ha contribuito a un cambiamento.

Grazie agli sforzi del procuratore Giuseppe Pignatone e del sostituto procuratore Michele Prestipino, la Procura di Roma è diventata un’istituzione giudiziaria modello in Italia. L’Arma dei Carabinieri, la Polizia di Stato, la Guardia di Finanza e la Direzione Investigativa Antimafa hanno dato un contributo significativo all’enorme salto di qualità delle indagini negli ultimi sette anni. La più sincera gratitudine a tutti i magistrati, alla polizia giudiziaria e agli agenti di scorta che ci hanno aiutato.

È giusto che questa pubblicazione sia dedicata a loro; è attraverso la loro dedizione che noi, come cittadini e come istituzioni rappresentate, ci vediamo ogni giorno. Abbiamo un debito di gratitudine nei confronti del Procuratore Giuseppe Pignatone in particolare per il suo contributo alla nostra comprensione del complesso criminale in cui opera la mafia a Roma e nel Lazio. Lo studio di quest’anno sul problema mafioso nel Lazio, intitolato Le mafe nel Lazio è stato redatto dopo un’approfondita ricerca sulle indagini giudiziarie più significative dell’anno su organizzazioni criminali, atti ufficiali e azioni pubbliche.

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La sua lettura fornisce un contesto per valutare la diffusione della criminalità organizzata nel nostro territorio. Il Rapporto è una risorsa cruciale nella nostra comune lotta per la legalità e la giustizia sociale poiché ci fornisce stimoli cerebrali e spunti di riflessione. Un esame stimolato dal conflitto in corso con le Undici Forze dell’Ordine, la Magistratura, le Istituzioni, le Associazioni, i Media, tutti chiamati, nelle rispettive sfere di influenza, a confrontare e riferire sui fenomeni mafiosi in l’area. Apprezziamo i loro sforzi nel corso degli anni per aiutarci a sviluppare una metodologia che ha,

al suo interno, un approccio tecnico-scientifico, rendendo questo testo una solida risorsa che evita, per quanto possibile, pregiudizi, dogmatismo, sopravvalutazione e sottovalutazione di il fenomeno. Il Rapporto Istituzionale della Regione Lazio sulla Mafia è giunto alla sua quarta edizione in cinque anni, dando un senso di continuità al nostro impegno nella lotta all’organizzazione criminale. La sua ricerca mette in luce una rete “complessa” con collegamenti in tutto il territorio laziale che convergono tutti dentro e intorno al capoluogo.

La malavita laziale si presenta con la brutalità legata ai clan e la potenza criminale-imprenditoriale del suo denaro sporco. Ciò significa che i potenti partecipano ad operazioni illecite, controllare porzioni sostanziali dell’economia legittima, mettere in pericolo la vita della gente comune e indebolire la democrazia e le sue istituzioni. Lo scenario descritto nella quarta relazione contribuisce a smentire l’affermazione che il territorio di Roma e del Lazio sia al sicuro dall’insediamento di gruppi mafiosi e sia invece l’unico luogo di investimento dei fondi criminali,

piuttosto che sede di una ben più numerosa e insieme vario e certamente non monopolistico di tali attività. In realtà non c’è un soggetto dominante; invece, varie organizzazioni criminali condividono il territorio e interagiscono tra loro. Questi includono prima di tutto bande che sono semplicemente proiezioni moderne di vecchi mafes. Accanto a queste proiezioni sullo stesso territorio vi sono bande criminali che danno origine, come abbiamo visto, a proprie associazioni indigene unite secondo l’approccio cosiddetto mafioso.

La mafia e le altre organizzazioni criminali sono in grado di riconoscersi e, sì, rispettarsi a vicenda, e questo riconoscimento e rispetto viene utilizzato per definire uno scambio perverso di utilità illecita. Queste organizzazioni non si concentrano solo sul riciclaggio di denaro rubato da qualche altra parte per poi reinvestirlo in iniziative imprenditoriali legittime; piuttosto, si impegnano anche in una vasta gamma di altre attività illegali che, a loro volta, generano profitti sostanziali che possono essere utilizzati per finanziare ulteriori imprese criminali.

Roma, come è stato riportato in precedenza, funge da hub per il commercio sia legale che illegale. Gruppi criminali affermati in particolare la ‘Ndrangheta e la Camorra hanno a lungo dominato la città, acquistando proprietà e quote societarie a tassi inferiori a quelli di mercato. Dalle indagini è emerso che gruppi mafiosi con personalità contigue si sono impossessati di diversi palazzi antichi di Roma. Del resto, un tratto comune alle organizzazioni mafos tradizionali è la capacità di coltivare legami duraturi con imprenditori:

professionisti e altri influencer economico-finanziari con cui fare affari e fare investimenti, alimentando ulteriormente il circuito di relazioni che contribuisce alla loro successo. Accanto a questi approcci più convenzionali, le famiglie mafiose stanno affermando modelli sempre più complessi e sofisticati di investimento della ricchezza: penetrando in un nuovo e promettente tessuto socioeconomico in luoghi come Roma e il basso Lazio, famiglie di camorra e ‘Ndrangheta vi esportano interi business, delocalizzando e più spesso replicando attività come il marketing dei farmaci e la gestione delle operazioni dei circuiti di gioco.

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